Prima che la pandemia rovesciasse le nostre abitudini, la flotta della compagnia aerea Hong Kong Express Airways Limited volava su dieci Paesi asiatici, dalla Cina al Giappone alla Thailandia. Adesso i suoi aerei decollano dall’hub principale, l’Hong Kong International Airport, per girare a vuoto sulla città. La campagna si chiama #UOFlycation, e gli aerei volano verso il nulla.
Il 1° ottobre 1946 negli Stati Uniti usciva uno dei primi film che trattavano di spionaggio nucleare. Era passato appena un anno dallo sgancio dell’atomica, la guerra era finita ma nessuno si sentiva in pace. Sulla locandina, un’esplosione a forma di fungo faceva da sfondo al titolo della pellicola: Flight to Nowhere.
Il volo che non va da nessuna parte ricompare nel secolo seguente. E lo fa durante un periodo che psicologicamente si accompagna a un senso di prossimità dell’apocalisse. È un volo tangibile, stavolta – al di qua dello schermo e fuori di metafora. L’anno è il 2020.
Prima che la pandemia rovesciasse le nostre abitudini, la flotta di Airbus A320 della compagnia aerea Hong Kong Express Airways Limited volava su dieci Paesi asiatici, dalla Cina al Giappone alla Thailandia. È una compagnia low cost fondata nel 2004, sorella minore della compagnia di bandiera di Hong Kong (la Cathay Pacific).
Da metà ottobre, i suoi aerei decollano dall’hub principale, l’Hong Kong International Airport, per girare a vuoto sulla città. La campagna si chiama #UOFlycation, il sottotitolo dice «Rediscover the joy of travelling» e per il volo inaugurale erano a bordo 110 passeggeri. Che hanno pagato 388 dollari locali (circa 43 euro) per guardare e riprendere Hong Kong dall’alto. E tornare a terra, poi, nello stesso posto in cui si erano imbarcati.
La compagnia ha dichiarato che va inteso come un warm-up per i passeggeri, in vista di un ritorno alla normalità – del viaggio e non.
L’HK Express è solo una delle compagnie che nel mondo si sono attivate per arrangiare questo tipo di voli. Già sul finire dell’estate, per esempio, la All Nippon Airways aveva intrattenuto trecento passeggeri con un volo a tema “resort hawaiano” che gravitava sull’arcipelago giapponese.
Pare davvero improbabile che altri vettori non si aggiungeranno alla lista. Già a settembre, le agenzie di viaggio riscontravano interesse in questa direzione sia in India che negli Stati Uniti. Le proteste di movimenti ecologisti locali, però, sono riuscite a impedire alla Singapore Airlines di unirsi.
Tra i pionieri c’è la Royal Brunei, che fin da agosto proponeva i suoi viaggi senza destinazione (e peraltro non chiedeva ai passeggeri di indossare le mascherine). Ma per pochi giorni era arrivata prima la Eva Air di Taiwan, allestendo l’8 agosto (giorno della locale festa del papà) un volo non-stop a tema “Hello Kitty” che si è spostato sopra la costa taiwanese e si è spinto sulle isole Ryuku del Giappone prima di rientrare alla base.
Un’istituzione come la Qantas australiana preferisce chiamarli “scenic flights” e li articola in modo più complesso. Sette ore nei cieli australiani senza mai scendere, da Sidney a Uluru e ritorno, costano un minimo di 787 dollari australiani (circa 475 euro). Si ha il tempo di fotografare Ayers Rock senza neanche sporcarsi le scarpe. Sembra il futuro prossimo del viaggio aereo: a distanza e per poche tasche. Poter dare testimonianza di esserci ma senza muoversi dai cuscini del sedile col nome del volo ricamato sopra per l’occasione.
Chi è stato a bordo, ha parlato di un’atmosfera «gioiosa ed emozionante». Ovviamente, in un tempo dove tutto è esperienza (pensiamo all’ossessione di Airbnb per il concetto), la comunicazione di Qantas insiste sul fatto che questa sia un’alternativa «esperienza di volo». Per il primo scenic flight della compagnia sono stati venduti tutti i 134 posti nell’arco di dieci minuti.
Sebastien Filep, professore presso l’Hong Kong Polytechnic University, individua una spiegazione nell’intensificarsi del desiderio di fuga dovuto alle limitazioni per la pandemia.
Come ha evidenziato il «New York Times», nel 2018 l’aviazione civile globale ha prodotto 918 milioni di tonnellate d’anidride carbonica. Della contagiosità del virus Covid-19 non c’è neanche da dire.
Perciò, nell’epoca della consapevolezza ecologica e nei mesi in cui il mondo ha dovuto adeguarsi al distanziamento fisico, è davvero difficile trovare una giustificazione nella celebre frase di T. S. Eliot: «The journey, not the destination matters». Conta il percorso, non la destinazione. Né sembra esserci consonanza con la strofa in cui il Colle der Fomento diceva: «Viaggiare stando fermi è il massimo».
Perché i flights to nowhere riescono contemporaneamente a inquinare e ad assembrare persone. E senza nemmeno rispondere alla funzione di un aeroplano: accorciare lo spazio per spostare persone o merci.
Se estrarre valore dall’immobilità è una nuova frontiera, ha l’odore di uno stagno dove qualcuno rovista con un bastone di fortuna.